
In un comunicato il Prri rileva che «tra il 2001 e il 2015 sono stati 19 i Paesi UE che hanno presentato complessivamente 856 progetti di sperimentazione in campo.
In testa la Spagna, che detiene la quasi totalità delle superfici coltivate a ogm nell’Unione Europea, con il 47% dei progetti. Seguono Francia, Germania, Svezia e Romania, mentre l’Italia da più di 10 anni non consente sperimentazioni in campo, pur importando 4 milioni di tonellate di soia gm».
A soffrirne sono i ricercatori del settore pubblico. «Il crollo nel numero di sperimentazioni è frutto dell’opposizione di molti Paesi UE alla coltivazione, a cui si somma spesso una interpretazione arbitraria di una normativa già di per sé estremamente restrittiva» ha dichiarato Piero Morandini, ricercatore presso il Dipartimento di bioscienze dell’Università di Milano e membro del Prri.
«L’incapacità di sfruttare tutte le tecnologie disponibili per sviluppare nuove varietà vegetali ci causa la perdita di numerosi benefici, ci espone a maggiori danni ambientali e scoraggia la ricerca pubblica, proprio quella che più potrebbe contribuire a risolvere i problemi specifici dei vari Paesi. Come ricercatori chiediamo che la gente giudichi solo dopo aver raccolto informazioni da sorgenti competenti» ha aggiunto Morandini.
«Le organizzazioni agricole e i ricercatori del settore pubblico che partecipano al Farmer-Scientist Network chiedono di cambiare questa situazione di disinformazione. Una loro rappresentanza in visita a Expo ha affisso all’albero del cibo nel padiglione di Slow Food messaggi a favore della ricerca scientifica sugli ogm. Un modo per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’azzeramento della ricerca biotech in agricoltura in Europa» ha concluso Morandini.