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GRANO TENERO: IL FUTURO È NELLA SPECIALIZZAZIONE

9/5/2016

 
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​La produzione nazionale di frumento tenero, che nei primi anni 70 era compresa tra 7 e 9 milioni di tonnellate, ha registrato successivamente una costante ma marcata flessione, riconducibile soprattutto alla riduzione delle superfici coltivate che sono passate dai 3 milioni di ettari degli anni 60 agli 0,6 milioni di ettari circa dei tempi più recenti.
​Nonostante la marcata crescita delle rese, la produzione di frumento tenero si attesta ormai stabilmente su livelli compresi tra 3,0 e 3,8 milioni di tonnellate, un quantitativo – anche tenuto conto che tutta la produzione nazionale non è o non può essere destinata totalmente alla sola industria molitoria – largamente insufficiente a coprire le esigenze quantitative del sistema molitorio italiano che si collocano attorno a 5,5 milioni di tonnellate all'anno. 
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Gli ultimi dati dell’Anacer indicano infatti che nel 2015 l’Italia ha importato oltre 3,9 milioni di tonnellate di grano tenero: «La produzione italiana, oltre che rappresentare una frazione modesta su quella globale, sconta una posizione di debolezza e di scarsa competitività in riferimento a quella di altri Paesi: Francia e Germania, in primis, per qualità, forza organizzativa e dimensione dei lotti commercializzati, e altri Paesi, quali quelli dell’Est Europa o delle Americhe, per struttura dei costi».

Secondo Amedeo Reyneri − docente di Agronomia e coltivazioni erbacee presso il Dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari dell’Università di Torino − questa forte dipendenza dalle importazioni ha rallentato, e in certi casi ostacolato, lo sviluppo di un adeguato approccio organizzato di filiera, «tanto è vero che il settore molitorio italiano lamenta nei confronti delle produzioni nazionali una cronica carenza qualitativa e la scarsa omogeneità dei lotti: a ciò si pone rimedio con importazioni di grandi lotti omogenei che soddisfi no la qualità richiesta per le trasformazioni, contribuendo così ad alimentare un circolo vizioso che ha per lungo tempo spinto la granicoltura nazionale verso un ruolo marginale».

Per uscire da questo circolo si possono percorrere due strade: «la prima, fino a ora prevalente, è quella di proseguire nelle produzioni di base poco caratterizzate e solo sufficienti ad essere poi miscelate in misura diversa con quelle importate per ottenere la qualità voluta delle farine; la seconda è quella di attivare filiere complementari ad alto livello di specializzazione per rispondere a precise esigenze qualitative».

​Negli ultimi 30 anni il comparto dei cereali si è trasformato drasticamente da un punto di vista dell’offerta, siamo passati dal concetto di commodity a quello di specialty e la frontiera alla quale guardare è la cosiddetta «CDD», cioè la «Consumer-Driven Demand», domanda guidata dal consumatore. «In altre parole – sostiene Reyneri – è essenziale attivare un processo guidato di conversione del frumento da commodity a specialty, rispondendo quindi a quanto il mercato chiede ai produttori». 
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