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GRANO DURO ESTERO E PASTA ITALIANA: AIDEPI FA CHIAREZZA

29/3/2016

 
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Di spaghetti, fusilli e maccheroni siamo i più grandi consumatori (con 25 kg pro capite all'anno), produttori e esportatori al mondo. Eppure su pasta e le sue materie prime si fa ancora tanta confusione. Ci stupiamo dell’uso di grano duro non italiano per la nostra pasta, dimenticando che da sempre l’Italia non è autosufficiente per questa coltura: anzi, il deficit attuale (30-40%) di grano italiano è la metà rispetto a 120 anni fa, quando il mito della pasta italiana si costruiva grazie al pregiato grano russo. 

Questo quanto recita un recente Dossier realizzato da Aidepi - Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane, realizzato con il supporto di esperti di agronomia, nutrizione e pastificazione, racconta agli italiani come stanno realmente le cose su pasta, grano duro e glutenfobia.

Qualcuno specula sulla presunta scarsa salubrità del grano estero – recita il comunicato - ma i dati confermano che è controllato esattamente come quello nazionale, spesso costa di più (fino al 10-15%) e negli ultimi anni – al di là degli slogan -mai un campione entrato nel porto di Bari è risultato fuori legge. E ancora, sempre più italiani (il 30%) pensano che una dieta senza glutine – e quindi senza pane e pasta – faccia dimagrire, 1 su 10 che sia più salutare. Ma eliminando il glutine si apportano più grassi nella dieta. E gli esperti sconsigliano di eliminare pane e pasta a meno di essere celiaco.

“Abbiamo voluto fare chiarezza su alcuni argomenti controversi legati a grano duro e pasta, perché la disinformazione non aiuta il consumatore a fare scelte consapevoli - spiega Riccardo Felicetti, presidente dei pastai di Aidepi. Non bisogna perdere di vista il fatto che la pasta è la base della dieta mediterranea ed è un prodotto sano, gustoso e sicuro, sulla cui qualità garantiscono le aziende che la producono da secoli, trasmettendo il sapere del pastaio di padre in figlio.”
Il nostro ruolo di leader mondiali del mercato della pasta ci ha posto, da sempre, tra i Paesi con maggiore fabbisogno di grano duro: attualmente, utilizziamo 5,8 milioni di tonnellate annui, 1/6 della produzione mondiale. Per raggiungere questa quantità mancano alla produzione nazionale circa 2 milioni di tonnellate di materia prima l’anno.

Se venisse prodotta pasta di solo grano nazionale, gli italiani dovrebbero rinunciare a 3 piatti di pasta su 10 e perderemmo il primato di leader mondiale di produzione ed esportazione di pasta, con danni enormi al settore e agli altri comparti trainati dall’export di pasta, come olio, formaggio e pomodoro.
Le navi cariche di grano che sbarcano in Italia non sono affatto una novità. Anzi, il mito della pasta italiana, anche quella di Torre Annunziata e di Gragnano, si è costruito anche grazie ai grani di altissima qualità russi e canadesi. L’attuale deficit strutturale di grano (circa il 30-40% a seconda dall’andamento climatico) è la metà rispetto al 70% registrato a fine Ottocento. Già allora, nei porti di Napoli, Genova e Bari arrivava un grano la cui provenienza era quasi sempre la stessa: per il 90%, dal Mar Nero, le cui varietà erano tra le più pregiate e costose disponibili sul mercato.

Da allora, l’entità delle importazioni è rimasta stabile attorno ai 2-2,5 milioni di tonnellate di grano duro l’anno: in Italia la superficie dedicata a grano duro è rimasta più o meno la stessa, ma le rese sono almeno triplicate (da meno di 1 tonnellata a 3-4 per ettaro) e allo stesso tempo è cresciuto di molto il fabbisogno. Tanto che la produzione di pasta (3,46 milioni di tonnellate nel 2015, secondo Aidepi) è aumentata di 6 volte negli ultimi 80 anni. E l’export di pasta è passato in 60 anni dal 5% al 58% del totale produzione (1955-2015).

Il principale fornitore di grano duro è l’Italia, da dove i pastai acquistano il 60-70% del fabbisogno (in pratica, tutto il grano duro nazionale, mantenendo di fatto in vita la filiera), l’origine del restante 30-40% varia in funzione della stagione e della qualità dei raccolti.
​I grani duri esteri più pregiati possono arrivare a costare anche il 10%-15% in più di quelli nazionali, perché solo i migliori frumenti disponibili sul mercato permettono di realizzare la giusta “miscela”, che è il segreto della nostra pasta.

Alla materia prima nazionale vengono perciò aggiunti, in media, circa 1,8 milioni di tonnellate di grani di altissima qualità e grano di grado 3-4 “or better” (cioè tra il fino ed il buono mercantile) provenienti da Usa, Canada, Australia e Francia.
Straniero o italiano che sia, il grano è sottoposto agli stessi, rigidi controlli da molte istituzioni pubbliche e dalle industrie molitorie e pastarie, prima di immetterlo nel ciclo produttivo. Ad esempio, secondo il rapporto dell’ARPA Puglia di Bari sulla presenza di micotossine negli alimenti tra il 2011 e il 2014, il grano entrato nel porto di Bari negli ultimi quattro anni non ha mai superato i limiti di legge.
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“Non esiste alcuna evidenza che i grani esteri siano risultati più spesso positivi ai controlli di quelli nazionali e che solo loro contengano micotossine - afferma Emilio Ferrari, Vicepresidente Unione Semolieri Europei. La soluzione per sostenere il grano duro italiano non è bloccare l’importazione, ma migliorare la produzione nazionale in collaborazione con tutta la filiera, dai genetisti agli agricoltori, agli industriali, col supporto degli enti pubblici”.

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