L'obbligo di indicare in etichetta l'origine delle materie prime per la pasta, che entrerà in vigore da metà febbraio 2018, è stato introdotto, in via sperimentale per due anni, da due decreti interministeriali firmati a luglio dal ministro Martina e dal titolare dello Sviluppo economico Carlo Calenda e pubblicati in Gazzetta Ufficiale ad agosto. Gli industriali sottolineano che questa misura non solo «non incentiva gli agricoltori italiani a produrre grano di qualità ma riduce la nostra competitività all'estero perché introduce un obbligo che comporta costi aggiuntivi solo per noi e non per i nostri concorrenti. Siamo a favore della trasparenza verso il consumatore, e infatti - precisa Felicetti - avevamo mandato una nostra proposta alternativa, più semplice ed efficace, che però non è stata neppure presa in considerazione dai ministri».
Oggi l'export di pasta pesa circa il 50% sul fatturato della pasta ma - secondo stime di Aidepi - «con la nuova etichetta perderemmo il 5-7% annuo delle nostre quote di mercato. Quanto basta per farci perdere, entro i prossimi 10 anni, la leadership del mercato della pasta, che conserviamo da oltre due secoli. Un autogol per il Paese quindi», conclude Felicetti.
Nel dibattito interviene anche la Coldiretti. Il ricorso al Tar di Aidepi è «una decisione che, secondo la consultazione pubblica online sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle Politiche Agricole, va contro gli interessi dell'81% dei consumatori» sottolinea il presidente Roberto Moncalvo.
«Siamo certi che - sostiene la Coldiretti - la magistratura potrà ben valutare il primato degli interessi dell'informazione dei cittadini su quelli economici e commerciali. Si vuole impedire ai consumatori di conoscere la verità privandoli di informazioni importanti come quella di sapere se nella pasta che si sta acquistando è presente o meno grano canadese trattato in pre-raccolta con il glifosate, accusato di essere cancerogeno e per questo proibito sul grano italiano».