
Delle multinazionali che speculano sui mercati dei future.
Questa convinzione è talmente radicata nella nostra mentalità da impedirci di capire come stanno davvero le cose. Se in Italia il comparto dei cereali è poco competitivo e in continua balia della volatilità dei prezzi la colpa non è tutta delle multinazionali e dei grandi «trader», ma anche un po’ nostra.
I tempi infatti sono duri anche per i colossi mondiali dell’agribusiness, che nel gergo del settore sono soprannominati «Abcd», dalle iniziali dei primi 4: Archer Daniels Midland (Adm), Bunge, Cargill e Louis Dreyfus Commodities...
Oggi Pechino acquista già il 60% dell’offerta mondiale di soia e quest’anno potrebbe diventare il primo importatore di grano e raddoppiare l’import di mais. Il motivo di questa corsa all’acquisto? Nonostante una superfi cie di 9,5 milioni di km2, che ne fa il terzo Paese più grande al mondo (dopo Russia e Canada), solo il 15% del territorio cinese è adatto all’agricoltura. Per rispondere alla crescente domanda alimentare, anche proteica, di oltre 1,34 miliardi di persone (quasi il 20% della popolazione mondiale) alla Cina serve parecchia materia prima alimentare.
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