
I prezzi bassi non sembrano perciò provocare una disaffezione nei confronti della coltivazione del mais, né in Italia né tanto meno al livello mondiale, anche perché il problema riguarda in realtà tutte le colture, a parte forse la soia per la quale ci si aspetta un lieve incremento delle prossime semine.
Eppure lo scenario non è privo di alcuni aspetti preoccupanti, tra i quali i principali sono (i dati provengono dall’International Grains Council e sono stati pubblicati in novembre):
- La campagna di commercializzazione in corso si chiuderà al livello mondiale con un livello di scorte mai visto prima: 208 milioni di tonnellate, equivalenti al 21,72% dei consumi; una ratio scorte/consumi così elevata non si era mai prima di oggi. Lo stesso dato limitato all’Unione Europea è fortunatamente meno elevato (9,2 milioni di tonnellate di scorte finali, pari ad una ratio scorte/consumi del 12,2%), ma bisognerà tenere conto dell’offerta ucraina, sempre abbondante anche se si prevede un lieve calo nella prossima campagna.
- Il prezzo basso del petrolio ha un effetto limitato sui costi di coltivazione, ma incide negativamente sulla domanda, perché la produzione di bioetanolo e di biogas rischia di non essere economicamente sostenibile nonostante i prezzi bassi (intasando così il mercato degli usi zootecnici).
- Infine una problematica tutta italiana, ossia le possibili contaminazioni da micotossine (aflatossine ma non solo), che colpiscono ormai i raccolti in molte aree della pianura padana con sempre maggior regolarità; ricordiamo che nelle ultime cinque campagne almeno tre sono state colpite in modo drammatico, con tutti i problemi conseguenti nella gestione del prodotto non conforme e soprattutto per i prezzi molto bassi attribuiti al prodotto contaminato.
Le possibili strategie
In presenza di simili scenari è indispensabile definire delle strategie di difesa del reddito. I fronti sui quali è indispensabile intervenire sono:
- il mantenimento o l’incremento delle rese unitarie su livelli redditizi: dall’analisi dei costi e dei ricavi è evidente che la coltivazione del mais precoce in asciutto è fortemente penalizzata dalla resa bassa, e non è detto che la possibilità di una seconda coltura (ad es. soia) dopo il mais compensi questa perdita;
- l’indirizzamento di tutti gli sforzi possibili verso il contenimento della problematica “micotossine”: tutti i ragionamenti fatti perdono di significato in presenza di un livello elevato di aflatossine. Ricordiamoci che il prodotto contaminato è stato pagato durante la campagna 2014/15 anche 70 euro/t all’azienda agricoltore, un prezzo tale da annullare qualsiasi marginalità;
- la diversificazione delle destinazioni del prodotto: mais bianco, mais alimentare, waxy ecc. costituiscono potenzialmente delle valide alternative al mero ibrido per uso zootecnico, ma bisogna tenere presente che anche in questi casi resta indispensabile quanto riportato nei due punti precedenti.